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Indizi di bolla finanziaria in dirittura d’arrivo

Quasi ci siamo. Molti indicatori quantitativi lo stanno annunciando già da un po’. Lo ha scritto James Rickards su Daily Reckoning. E anche le banche centrali ci stanno mettendo del loro.

di Marco Delugan 21 nov 2017 ore 16:38

Chi investe nella fase finale di una bolla finanziaria di solito se la gode, vede salire il valore del proprio portafoglio e non sembra considerare i pericoli a cui sta andando incontro. Chi invece resta fuori, spesso lo fa mordendosi le mani.

Fino a quando il gioco finisce, e le parti si invertono.

Ma i mercati Usa sono davvero in bolla finanziaria?

Ne ha scritto in questi giorni James Rickards su Daily Reckoning.

Secondo molti, i mercati finanziari Usa sono entrati nella fase finale di una bolla finanziaria destinata tra non molto a scoppiare.

Dal minimo del 2009, lo S&P 500 è cresciuto quasi senza posa, e dal novembre del 2016, quando è stato eletto Donald Trump a Presidente degli stati Uniti, la crescita è stata quasi lineare.

Molti indicatori quantitativi segnalano il pericolo di una prossima correzione, se non proprio di un crollo, e alcune importanti forze in campo, come le politiche monetarie di alcune importanti banche centrali, sembrano aumentare i pericoli.

In un caso come questo, secondo Rickards, è meglio starsene fuori, farsi una riserva di liquidità e investire in oro come forma di assicurazione in vista della prossima catastrofe. In questo modo si sarà anche meglio posizionati per acquistare buoni titoli a basso prezzo e approfittare della parte sana della ripresa dei mercati.

bolla-finanziariaA favore dell’ipotesi che i mercati siano in una fase di bolla finanziaria, ricorda Rickards, ci sono indicatori come ad esempio lo Shiller Cape Ratio, che misura quanto siano costose le azioni. Il Shiller Cape Ratio ha raggiunto di recente livelli visti in precedenza solo in prossimità della crisi del 1929 e dello scoppio della bolla delle dot.com del 2000.

E un altro indicatore analogo, il rapporto tra capitalizzazione del mercato e il prodotto interno lordo, è anch’esso sopra il livello del 2008, e vicino a quello del 1929.

La lista dei segnali di pericolo continua comprendendo il livello di volatilità, adesso a livelli storicamente molto bassi, come testimonianza della diffusa compiacenza degli investitori sulla tendenza rialzista in atto. Ed è proprio quando tutti sono convinti che le cose non potranno che andare bene che arrivano i problemi.

Ma c’è altro.

Rickards segnala infatti che alcuni indici obbligazionari ad alto rendimento (bond spazzatura - junk bond) sono scesi sotto la loro media mobile a 200 giorni.

I junk bond sono più rischiosi delle azioni. Quando mostrano segni di difficoltà, vuol dire che gli emittenti hanno problemi a ottemperare i loro obblighi verso gli obbligazionisti. Questo, a sua volta, è un indice di minori ricavi e di minori profitti. Di peggiori condizioni finanziarie e minori guadagni.

I crolli avvenuti nell’ottobre del 1987 e nel dicembre del 1994 sono stati preceduti da problemi simili sui mercati obbligazionari. Non è una relazione deterministica, ma in quei due casi il mercato obbligazionario ha dato segni di difficoltà sei mesi prima dei crolli azionari.

Il quadro complessivo viene inoltre complicato dagli atteggiamenti delle banche centrali.

La Fed ha cominciato una per ora lunga e prudente fase di rialzo dei tassi di interesse. E’ difficile dire cosa potrà accadere, perché dipende dalle condizioni economiche e finanziarie in cui in rialzo avviene, ma è comunque una cosa quasi nuova, perché è dalla metà degli anni ’90 che negli Usa e nel resto del mondo evoluto non si assiste a politiche monetarie restrittive.

Secondo l’autore, nemmeno il rialzo che ha preceduto lo scoppio della bolla immobiliare può essere considerato davvero restrittivo.

Quello che conta davvero, infatti, è il tasso di interesse reale. Ad esempio, anche se il tasso di interesse fosse al 10% ma l’inflazione fosse al 15%, il tasso di interesse reale sarebbe al -5%. E secondo molti modelli economici, il tasso di interesse appropriato per la situazione economica degli Stati Uniti dovrebbe essere oggi il 2,5% invece che dell’1%.

Anche altre banche centrali, come la BCE e la Banca Popolare cinese, sono come la Fed nella fase di conclusione di politiche monetarie espansive più che decennali.

Secondo Rickards questa nuova direzione delle banche centrali non ha a che fare con il controllo dell’inflazione, ma con l’obiettivo di sgonfiare per tempo le bolle degli asset finanziari e prepararsi per una nuova recessione. In sostanza: rialzare i tassi per poterli poi riabbassare quando necessario.

Ma seguendo questa politica, le banche centrali potrebbero far scoppiare la bolla e provocare la recessione che vorrebbero evitare.

Cosa fare, quindi?

Per Rickards è sicuramente meglio stare di lato, investire in liquidità e oro, e prepararsi ad approfittare delle nuova ripresa, quando ci sarà.

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