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Crescita sufficiente, sostegno monetario costante e traiettoria dell’inflazione stabilizzata

La turbolenza dei mercati obbligazionari, azionari e valutari nelle ultime settimane ha confermato la perdita di flessibilità dei mercati finanziari. Questi ultimi sono diventati vulnerabili

di Redazione Soldionline 12 giu 2015 ore 15:09

A cura di Didier Saint-Georges, Managing Director Carmignac

La turbolenza dei mercati obbligazionari, azionari e valutari nelle ultime settimane ha confermato la perdita di flessibilità dei mercati finanziari. E secondo Didier Saint-Georges, il Managing Director di Carmignac, questi ultimi sono diventati vulnerabili al minimo passo falso compiuto al di fuori dallo stretto sentiero dello scenario perfetto: crescita sufficiente, sostegno monetario costante e traiettoria dell’inflazione stabilizzata. L’entità della volatilità dei mercati dipenderà dal futuro di questi tre fattori rispetto alle aspettative. È pertanto utile interrogarsi sulla lucidità dei mercati relativamente a questi tre pilastri della fiducia. In seguito a questa valutazione emerge la coesistenza di diverse carenze, tra cui la meno anticipata dai mercati è forse la possibilità di un lieve rimbalzo inflazionistico nel secondo semestre.

usa-economiaE il ciclo economico?
La pendenza della ripresa economica globale rimane scarsa, poiché il mondo continua ad affrontare gli ostacoli alla crescita derivanti dalla grande crisi del 2008. La pratica sfrenata del “quantitative easing” ha generato una sorta di guerra dei cambi a turno, dove l’Eurozona è oggi il principale protagonista e beneficiario, anche più del Giappone. Ma tale creazione di moneta su vasta scala non ha accelerato la crescita mondiale, poiché ogni regione attinge a sua volta dall’economia dei vicini le risorse per la propria crescita. La forma dell’exit strategy dal 2010 rimane quindi quella di mini cicli economici timidi e regionali, con poco stimolo per la crescita potenziale a medio termine. Da alcuni trimestri insistiamo sulle delusioni derivanti dal vigore economico statunitense. Sembra ormai cosa fatta, o quasi. Negli ultimi mesi gli investitori hanno potuto constatare l’indebolimento degli indicatori statunitensi dell’attività industriale e della fiducia dei consumatori e ci si aspetta che questi ultimi abbiano modificato di conseguenza le proprie aspettative. A giudicare dalla performance negativa in borsa a maggio dei settori automobilistico, energetico e dei materiali di base, nell’Eurozona a inizio anno, sembra anche affievolito l’entusiasmo per la ripresa economica europea degli investitori. Lo scenario di una crescita ancora modesta ma trainata in maggior misura dall’attività interna sarebbe una buona notizia per i prossimi mesi. I timori degli investitori sembrano oggi cristallizzarsi sul ritmo del rallentamento cinese (e sulla volatilità dei mercati azionari domestici!). Tali timori sono comprensibili, ma sottovalutano il fatto che le autorità cinesi hanno deliberatamente orchestrato gran parte di questa brusca decelerazione, quale costo immediato necessario per riposizionare l’economia del paese su una traiettoria di crescita duratura. Oggi le autorità intendono stabilizzare il ritmo di crescita ai livelli attuali. Sfida non facile ma che ci sembra realizzabile. La situazione economica del Brasile è catastrofica, ma ben conosciuta. Invece il risanamento indiano prosegue il suo corso, un po’ più lentamente del previsto. Complessivamente, la divergenza tra dei mercati finanziari fiduciosi da inizio anno e la prospettiva di una crescita economica modesta rimane un fattore di fragilità. Ma sembra perlomeno che la lucidità degli investitori sia migliorata, allontanando il rischio di delusioni.

E la liquidità?
Il sostegno monetario è stato sicuramente il motivo principale dello spettacolare percorso dei mercati finanziari negli ultimi tre anni. Una riduzione inattesa della velocità di tale perfusione provocherebbe violenti sintomi da astinenza su mercati che hanno raggiunto un livello di estrema dipendenza. Alla fine, il rischio è quello di un errore di politica monetaria. Ma in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e in Cina si percepisce un livello di attenzione particolarmente alto da parte delle banche centrali relativamente a questa loro responsabilità. L’impegno della Banca centrale europea e della Banca del Giappone risulta costante, mentre è palpabile la prudenza della Fed, molto attenta alla percezione dei mercati riguardo alle proprie intenzioni. La Banca centrale cinese dal canto suo è solo agli esordi di un programma di notevole sostegno monetario, necessario per la stabilizzazione dell’attività economica del paese. I mercati beneficeranno quindi di ingenti iniezioni di liquidità ancora per molto tempo. Ma sussistono delle note discordanti in questa dolce melodia: i mercati obbligazionari hanno già abbondantemente attinto a questa cornucopia. Sono di conseguenza sazi, e pertanto vulnerabili. Pertanto, senza neanche bisogno di particolari shock esterni, i tassi medi dei paesi del G7 sono saliti dello 0,5% in due settimane (e quelli del debito sovrano tedesco a 10 anni sono passati dallo 0,08% allo 0,73% in meno di un mese) nonostante il sostegno delle banche centrali.

inflazione_4E l’inflazione?
Mantenere un’inflazione globalmente molto (se non addirittura troppo) bassa, costituisce probabilmente oggi l’anticipazione più consensuale. Dopotutto, la minaccia deflazionistica era ancora molto seria  sei mesi fa e, come abbiamo visto, la crescita globale è ben lungi da un surriscaldamento. Ma è forse qui che si percepisce un certo compiacimento, perlomeno negli Stati Uniti, poiché tre fenomeni potrebbero contribuire a un prossimo innalzamento delle aspettative inflazionistiche. Innanzitutto, per un semplice effetto base, la stabilizzazione del prezzo del barile di petrolio compenserà il crollo registrato nel secondo semestre 2014, che aveva accelerato il calo dell’inflazione. In secondo luogo, il miglioramento del mercato del lavoro negli Stati Uniti comincia a generare i primi effetti sui salari. Questi ultimi nel primo trimestre di quest’anno hanno registrato l’aumento più marcato dal 2009. Infine, il numero di case in affitto si è enormemente ridotto negli Stati Uniti, segnale tradizionalmente affidabile di un imminente rialzo dei livelli degli affitti, una delle principali componenti dell’indice dei prezzi. La prospettiva di una crescita perennemente inferiore al suo potenziale ma accompagnata dal riaccendersi dell’inflazione rischia di complicare ulteriormente l’ambizione della Fed di una normalizzazione graduale della propria politica monetaria. Costituisce al tempo stesso un rischio che deve essere gestito attivamente sui mercati dei tassi.

In sintesi, le distorsioni inflitte ai prezzi di mercato dall’interventismo senza precedenti delle grandi banche centrali cominceranno a subire la prova delle realtà economiche. Quella di un’attività economica ancora modesta è già in atto e gli investitori sembrano avere iniziato a moderare il proprio ottimismo. La prova di una possibile futura ripresa dell’inflazione non è del tutto scontata oggi dai mercati. In entrambi i casi, il margine di errore nell’esecuzione delle politiche monetarie già molto audaci è risicato. Le banche centrali sono condannate al successo, mentre gli investitori devono gestire il rischio del loro fallimento.

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