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2015 barra al centro, non abbandonare la nave

Primi giorni di gennaio, si torna al lavoro ed ecco che subito arriva il momento di fare il bilancio dell'anno passato. E' sempre un momento difficile questo

di Redazione Soldionline 9 gen 2015 ore 10:31

A cura di Michele De Michelis, responsabile degli investimenti di Frame Asset Management

Primi giorni di gennaio, si torna al lavoro ed ecco che subito arriva il momento di fare il bilancio dell'anno passato. E' sempre un momento difficile questo, perché bisogna fare i conti con le proprie convinzioni, capire se ci stiamo innamorando di un'idea d'investimento (sia essa un titolo, un fondo, un’asset class) oppure se sia giunto il momento di modificare il nostro portafoglio.

A tal proposito, credo sia un utile esercizio quello di compiere un check-°©‐up di quanto previsto dodici mesi fa in material di asset allocation.

2015_6Poiché non è mia abitudine nascondermi dietro ad un dito, inizierò la mia analisi confessando che non avrei mai pensato accadesse quanto abbiamo visto sui titoli governativi europei e americani nel corso del 2014, per non parlare poi di quello cui abbiamo assistito nel solo mese di dicembre. Il Bund tedesco si trova ormai ai minimi storici di rendimento cedolare, ma la cosa ancora più impressionante è il T-Bond americano sotto il 2 percento, nonostante l’economia abbia saputo ritrovare la crescita degli anni passati. Questo ribasso di tassi nel corso del 2014 ha portato un rendimento eccezionale per coloro che sono rimasti investiti sui governativi decennali, cosa che io avevo invece sconsigliato di fare.

Fortunatamente, avevo tuttavia anche suggerito di investire sui TIPS (Treasury Inflation-­‐Protected Securities) americani e inglesi, che hanno avuto un'ottima performance nonostante la totale assenza di pressioni inflazionistiche, grazie al fatto che siamo ormai entrati in un contesto di tassi reali negativi.

Le altre due scelte relative al mondo obbligazionario, ovvero debito frontier e fondi long short credit, sono state appena soddisfacenti, con rendimenti tra il 3 e il 5 percento, scelte che avevo fatto proprio perché mi sarei aspettato al contrario tassi stabili o leggermente in salita e non certo dimezzati.

L'unica magra consolazione viene dal fatto che molti gestori obbligazionari (con mandati sia flessibili che a benchmark) hanno realizzato le performance più consistenti solo negli ambiti nei quali erano costretti a rimanere investiti, mentre dove avevano libertà di movimento hanno ottenuto più o meno i miei stessi risultati, a dimostrazione che neppure loro credevano potesse accadere quanto descritto poc’anzi.

Sicuramente più redditizia invece si è rivelata la “chiamata” sul dollaro americano, che dal rapporto di cambio di 1,36 contro euro di inizio 2014, ora si trova sotto 1,20. Pensavo arrivasse in area 1,28, ma nel corso dell'anno, vista la differenza di crociera tra le due economie, ho modificato più volte il target di prezzo.

Addentrandoci nel mondo dell'equity, è stata sicuramente corretta la scelta di consigliare il sovrappeso di Giappone e USA a discapito della più politicizzata Europa, ma soprattutto credo abbia funzionato bene il protocollo operativo di aumentare l'esposizione all'equity (in un portafoglio bilanciato, dal 40 al 60 percento), durante i ribassi, dell’ordine del 10-­‐15 percento, riportandola ai livelli iniziali sui rialzi di pari entità.

La volatilità ha rappresentato il grande ritorno del 2014, che credo sia a questo punto solo un assaggio di quello che ci preparerà il 2015.

Concludiamo la carrellata delle previsioni passate con l'oro, che ritenevo interessante (con un peso tra il 5 e il 10 percento a seconda del grado di rischio dell'investitore) in area 1200 e che ha chiuso l'anno sostanzialmente invariato, seppur con grandi oscillazioni che hanno fornito ottime occasioni di trading nel corso dell’anno.

Stessa cosa hanno fatto le gold miners, che, tuttavia, subendo una reattività estremamente amplificata rispetto al prezzo dell'oro fisico, devono avere un peso molto più basso (un terzo circa a parità di grado di rischio) di quest'ultimo in portafoglio.

Ora viene il difficile. Dove investire nel 2015?
Non si può certo dire che l’anno sia iniziato nel migliore dei modi. I soliti problemi “politici” della Grecia hanno immediatamente causato una discreta correzione dei mercati europei, con l’aggravante che – questa volta – anche il Giappone e gli Stati Uniti si sono uniti al coro dei ribassi. Il mese scorso chiudevo l’analisi mensile suggerendo di non abbandonare gli strumenti di protezione come dollaro, put option su indici e oro (che infatti in questi giorni si stanno rivelando estremamente utili), così come potrebbe risultare interessante (per gli investitori più esperti) impiegare opzioni call sull’indice VIX (che misura la volatilità), poiché ci sono tutti i presupposti per aspettarsi un’impennata delle turbolenze per l’anno nuovo. Temo infatti che potremmo vivere un 2015 molto caotico sui mercati finanziari. Come già sostenuto in tempi non sospetti, ci aspettiamo l’avvio del programma di alleggerimento monetario da parte della BCE, anche se Jens Weidmann non perde occasione di ribadire la posizione della Germania, criticando le possibilità offerte dal Quantitative Easing e invitando Francoforte a non cedere alle pressioni dei mercati. Sostiene infatti il presidente della Deutsche Bundesbank che, se i prezzi del petrolio dovessero rimanere bassi per un certo periodo di tempo, l’inflazione ai minimi termini aiuterà l’economia a riprendersi più rapidamente del previsto. Che l'inflazione sia ormai sotto terra non vi è più alcun dubbio, sul resto invece i pareri sono discordi.

Lungi da me l'idea di criticare un così illustre banchiere centrale, ma tale atteggiamento mi ricorda molto quanto accadde in Giappone negli anni Novanta. Con tutte le conseguenze di una deflazione più che ventennale.

Mi auguro che Draghi riesca in ogni caso nel suo intento, considerando poi che nel 2015 cambieranno i governi non solo in Grecia, ma anche in Spagna e Inghilterra, fra spinte populistiche anti-­‐austerity ed euroscettici. Pur tuttavia, considerando che a questo punto ottenere buoni risultati dal mercato obbligazionario governativo europeo potrebbe rivelarsi alquanto improbabile (a meno che non si pensi che i tassi tedeschi vadano allo 0,1 percento), se si ha fiducia nell'operato della nostra banca centrale, si dovrebbero tenere in portafoglio alcuni titoli azionari europei, ben selezionati. Sia attraverso fondi azionari a gestione attiva (per i più temerari), che fondi long short, che dopo aver sofferto (alcuni per lo meno) lo scorso anno, potrebbero trovare un ambiente più favorevole nei prossimi mesi.

E’ probabile infatti che i listini giapponesi e americani possano avere bisogno di una pausa di consolidamento. In generale però, non andrei a modificare di molto l'attuale asset allocation, se non per il fatto che, per le ragioni già espresse, mi sembra opportuno ora equipesare l'azionario europeo a quello nipponico e statunitense, pur mantenendo le forme di protezione che elencavo precedentemente. Confermo l’opportunità di mantenere in portafoglio ancora dollari americani, in quanto ritengo che l’euro continuerà a deprezzarsi nei confronti del biglietto verde sino a quando la politica monetaria europea sarà espansiva e non vi saranno reali segni di ripresa. La velocità e l’ampiezza del deprezzamento dipenderanno dall’aggressività della Fed nell’aumento dei tassi di interesse.

A livello di debito governativo, potrebbe non essere una cattiva idea quella di di mantenere TIPS inglesi e ridurre quelli americani. Nel Regno Unito dovrebbe infatti proseguire la stagione degli interessi reali negativi, che aiuta a bruciare debito, fatto che invece negli Stati Uniti non sarebbe altrettanto certo. Dove non mettere i soldi, invece? Certamente non sulle obbligazioni dei Paesi emergenti, poiché il rischio non è remunerato (in vista anche della prossima stretta della Fed) come invece avviene nei mercati frontier, che, pur essendo meno liquidi, continuano ad avere un ottimo carry intorno al 10-­‐11 percento. Mantenere la razionalità nelle situazioni di tempesta è indubbiamente più semplice a dirsi che a farsi, ma invita anche a non dimenticarsi della volatilità, che continua a fare la propria parte. Nel 2015 non possiamo certo permetterci di perdere la memoria.

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